Dopo una notte passata a Pointe Noire, partiamo alla volta di Kingoué con un minibus pieno di volontari (oltre a noi due di AIV, Jenny con il piccolo Louange, Sara, Julie, Clarissa, Marta e Tore, dell’associazione di Perugia Casa del Cuore – Amici del Congo) e una macchina stipata con i nostri bagagli. Ci accompagna e guida don Ghislain, un giovane prete congolese originario del villaggio, che ci offrirà ospitalità presso casa sua.

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Fermiamo la carovana nella periferia della città, al mercato di Tchister, per comprare delle sigarette: ci serviranno come lasciapassare per accedere ai cantieri stradali delle imprese cinesi, evitando il tremendo stato in cui versa l’attuale Route nationale 1. I colori delle merci e dei vestiti risultano un po’ appassiti per via del cielo coperto dalle nuvole.

Dopo aver superato un grande campo pozzi dell’Eni, costeggiamo la Riserva della Biosfera Dimonika, entrando nella foresta Mayombe, e ci riempiamo gli occhi di verde. Percorriamo la larga lingua di asfalto in mezzo ad un’alta cortina di foglie, in cui alti fusti bianchi si stagliano e protendono i rami verso il cielo grigio.

Prendiamo la strada rossa che parte da Mouyondzi, ed è ormai buio quando arriviamo a Kingouè e veniamo accolti dal calore gioioso degli adulti e di una muta di bambini, che ci offrono un benvenuto sorprendente, illuminato dai fari delle auto.

Il giorno dopo abbiamo modo di constatare la vicinanza tra la latrina ed il pozzo, e di fare due tiri a pallone con i marmocchi, prima di visitare il villaggio. Sfiliamo accanto a due grandi antenne per le telecomunicazioni per raggiungere il centro del villaggio e la piazza del mercato. Diversi edifici con pareti in mattoni rossi e tetto in lamiera, bassi e sparsi, che differiscono tra loro quasi solo per le dimensioni, sono la sede per il commissariato di polizia, il tribunale, la casa del sindaco e la clinica. Un grande serbatoio pensile non è stato terminato, e le donne raccolgono l’acqua, che per fortuna non manca, dai numerosi pozzi e dalle sorgenti. Visitiamo la Casa del Cuore, in fase di costruzione, che ospiterà un centro di accoglienza per bambini in difficoltà.

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Lo scopo del nostro viaggio nella Repubblica del Congo è verificare la possibilità di fornire energia elettrica al villaggio di Kingoué, in prima battuta mediante un micro-08_12_117impianto idroelettrico.

Nei tre giorni che seguono concentriamo i sopralluoghi alle cascate vicine dove si ritiene sia possibile installare una turbina. Don Ghislain dismette il crocifisso e impugna con disinvoltura un machete; insieme a suo padre e ad un paio di guide ci conduce per ore attraverso sentieri che talvolta neppure lui conosce, ma che percorre come un mezzo cingolato, mentre noi due fin troppo spesso rimaniamo impigliati nelle liane o inciampiamo nelle radici.

Gli sforzi sono sempre ripagati dalla vista delle cascate: due sul fiume Niari, basse ma con una grande portata nonostante la stagione secca, e altre 4 più alte ubicate sugli affluenti Moudzimoukoulou (2), Loulou e Bougane.

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Durante queste escursioni proviamo alcuni frutti aspri che offre la foresta, e un miele dolcissimo, prodotto da insetti a metà tra l’ape e il moscerino, che la guida ci porge dopo avere aperto a colpi di machete un anonimo alberello secco. Il padre di don Ghislain, Martin, compra sul sentiero un paio di istrici arrostiti e affumicati, prelibatezza locale, che noi assaggiamo, ad ogni buon conto, in dosi omeopatiche.

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Passiamo altri due giorni a Kingouè, a riprenderci dalle scarpinate. Visitiamo la scuola, vicino a casa, dove classi di 90 bambini disegnano e imparano le tabelline, IMG-20140816-00161supportati in questi giorni dalle ragazze dell’associazione di Perugia. La domenica partecipiamo alla messa, un rito di un paio d’ore con diversi canti del coloratissimo coro. Decidiamo quindi di andare a Brazzaville, per raggiungere poi la Riserva di Lefini.

Raggiungiamo pertanto Loutete, un crocevia da far west africano, dal quale contiamo di partire in treno.08_17_289

Arrivando da Mouyondzi, l’accesso è dominato dall’ennesima grigia cementeria dei moderni coloni cinesi, che prelude alle difficili ore che ci attendono. Arriviamo alle 10 del mattino. Scopriamo lì che non ci sarà il treno passeggeri. Troviamo quindi un passaggio nella cabina di un camion, ma l’autista prima deve pranzare, poi fare un riposino. Dopo un paio d’ore si parte. Anzi no, bisogna cambiare una ruota. Nel frattempo percorriamo avanti e indietro la strada polverosa in cerca di un’alternativa, con il timore sempre crescente di non riuscire a partire, dal momento che la strada che attraversa la regione del Pool viene chiusa dopo le 15, perché isolata e pericolosa. Dopo un’ora di svitamento, uno dei bulloni si spezza: il camion non parte più. Percorriamo ancora avanti e indietro la strada di polvere, ritrovandocene addosso sempre di più. Dopo un vano tentativo di salire su un fuoristrada trasportato nel cassone di un camion, alle 15 assistiamo alla partenza di un treno merci, tra i vagoni del quale si annida tutta la gente che ha la nostra stessa destinazione. Fermiamo infine, per grazia divina, un fuoristrada che proviene da Sibiti, dove si è appena tenuto un incontro politico.

Grazie al lasciapassare del veicolo, riusciamo ad attraversare la regione del Pool, su una strada-non-strada di finissima polvere rossa che ricopre tutto, nel moderno 4×4 con aria condizionata, guardando fuori dai finestrini come a una dimensione parallela: persone rosse, alberi rossi, camion rossi ribaltati, macchine rosse in panne. Dopo sei ore di viaggio, arriviamo sozzi e stremati a Brazzaville, dove padre Jordain ci ospiterà per tre giorni.

Qui visitiamo le rapide del fiume Congo e il mausoleo di Pietro Savorgnan di Brazzà, esploratore italiano naturalizzato francese, che a fine ‘800 condusse tre spedizioni in Africa equatoriale e fu Governatore del Congo. Infine ci rechiamo in giornata nella Riserva Lésio Louna, ai margini della Riserva Lefini, dove rimaniamo ad osservare per un’ora due cuccioli di gorilla: l’emozione del primo incontro è davvero impagabile.

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Al rientro in Italia i problemi quotidiani si assottigliano fino a perdere consistenza e scomparire. Rimangono invece vive la forte suggestione e la gratitudine per gli incontri con persone semplici e straordinarie, e per aver vissuto due settimane in una natura forte e quasi intatta. Ed è pulsante anche la voglia di portare avanti il progetto, per ricambiare almeno in parte quanto abbiamo ricevuto.

 

 

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Alberto Marchi

 

 

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